Per chi soffre della sindrome dell'intestino irritabile e segue la dieta Low FODMAP, il sushi può essere un'ottima scelta, sempre che non si prenda troppo sul serio la formula All You Can Eat!
Il pesce è per sua natura a basso contenuto di FODMAP
E, con qualche piccola accortezza, come fare attenzione alle porzioni e a condimenti come wasabi, zenzero e determinati tipi di vegetali, come l'avocado o la cipolla, il sushi può essere considerato un alimento low FODMAP.
Una delle maggiori preoccupazioni di chi preferisce non magiare pesce crudo però è la possibilità di star male per via della scarsa igiene di alcuni ristoranti etnici e la presenza di parassiti.
Personalmente, comprendo la preoccupazione ma privarsi totalmente di un determinato alimento, se piace, la trovo un'accortezza eccessiva. Si possono infatti prendere alcuni accorgimenti che permettono di goderci una serata piacevole con gli amici andando a letto sereni.
Poche e semplici attenzioni:
Preferire ristoranti conosciuti o comunque con ottime recensioni e una buona reputazione in materia di igiene e sicurezza alimentare.
Spesso i buoni ristoranti di sushi hanno la cucina a vista ed è possibile osservare come viene preparato il cibo.
Un'altra cosa a cui suggerisco di fare attenzione è che il pesce abbia un aspetto lucido e sia quasi inodore.
Per quanto riguarda i parassiti
La paura di trovare nel sushi il famoso "anisakis simplex", secondo studi e articoli recenti, pare sia da ridimensionare: il il sushi non è il posto più facile in cui trovarlo!
Per chi non lo sapesse, questo parassita vermiforme, presente in diversi organismi, si sviluppa generalmente in ambiente marino.
Le uova sono rilasciate in acqua attraverso le feci di mammiferi come foche, balene e delfini e sviluppano vari stadi larvali venendo ingeriti da diversi ospiti intermedi, di solito piccoli crostacei che a loro volta vengono ingeriti dai pesci.
A questo punto si sviluppa l'ultimo stadio larvale che può passare direttamente all'ospite definitivo (mammiferi marini) per il completamento del suo ciclo biologico, oppure può trovarsi in un altro ospite “accidentale” come l'uomo se quest'ultimo si ciba di pesce crudo o poco cotto. In questo caso il parassita non evolve a successivi stadi di sviluppo.
Dopo l'ingestione le larve normalmente muoiono e vengono espulse nelle 48 ore successive. Talvolta però possono sopravvivere causando nausea, vomito e forti dolori addominali. Normalmente, con una terapia mirata si guarisce completamente in pochi giorni da quella che viene definita anisakidosi o anisakiasi.
Se invece le larve passano nell'intestino, generalmente una o due settimane dopo l'infezione, si possono manifestare sintomi più gravi come diarrea e febbre accompagnati da violenti dolori addominali. Nel peggiore dei casi può verificarsi persino una perforazione intestinale.
Diagnosticare l’infezione da anisakis
Purtroppo un esame delle feci non è sufficiente in quanto l'uomo, come abbiamo visto precedentemente, non è un ospite finale. Ma è possibile rilevare la presenza di larve tramite una radiografia oppure tramite esame istologico.
In alcuni casi l'infezione si risolve con il solo trattamento sintomatico.
In qualche caso l'infezione può invece richiedere un intervento chirurgico.
Le larve di anisakis possono costituire un rischio per la salute in due modi:
- Parassitosi da ingestione di pesci crudi contenenti le larve;
- Reazione allergica ai prodotti chimici liberati dalle larve nei pesci ospiti.
I pesci maggiormente contaminati
Tra i pesci maggiormente contaminati troviamo: spatola, aringhe, merluzzo, rana pescatrice, sgombro, sardine, totano, gallinella, nasello. Mentre pare che in tonno, branzino, orata e salmone, che sono i pesci maggiormente usati nel sushi, specialmente quello delle forme AYCE, il rischio di trovare il parassita sia molto basso.
L'anisakiasi può essere facilmente prevenuta mediante la cottura del pesce in cui la parte più interna viene portata a una temperatura superiore a 60 °C per almeno un minuto, e/o il congelamento del pesce a una temperatura inferiore a -18 °C per almeno 96 ore mentre non viene scongiurata né dalla marinatura, né dalla salatura, né dall'affumicatura.
Ma niente paura: nei Paesi dell'Unione Europea la normativa prescrive per i ristoratori l'obbligo di munirsi di abbattitori di temperatura sufficienti a trattare il quantitativo di pesce utilizzato (con una deroga per certi pesci da allevamento che prevedono altri tipi di controlli all’origine).
Purtroppo però, nonostante questi accorgimenti, le persone più sensibili possono comunque sviluppare delle reazioni allergiche a causa delle sostanze chimiche secrete dalle larve all'interno dei pesci che le ospitano. Queste reazioni possono essere date anche da una minima esposizione, persino per contatto cutaneo o inalazione di polveri di farina di pesce prodotta con esemplari infettati dal verme.
Piccola curiosità?
In Italia i casi di reazioni dovute all’ingestione o al contatto con anisakis sono in crescita. Ma la maggior parte dei casi rilevati è dovuta non tanto al consumo di sushi, come molti potremmo pensare, ma più al consumo di alici marinate preparate in maniera non corretta!